Tratto da "La Nemesi" Num. 2
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Per evitare le facili banalizzazioni degli "ismi", sentiamo la necessità di presentare una visione di insieme delle idee che ci mettono in movimento. Da una filosofia di vita alle pratiche quotidiane.
Le definizioni, si sa, sono approssimative e spesso deleterie, ma rimangono necessarie. Comunismo e anarchismo, ad esempio, sono sia dei movimenti con una loro storia precisa sia delle etichette con cui si cerca di sintetizzare alcuni punti fondamentali. Sotto questi cartelli ci si trova però di tutto ed è perciò indispensabile sottolineare le differenze. Come l'anarchismo non è riducibile ad un rifiuto del comando e dell'autorità, così, parlando degli "-ismi" argomento dell'articolo, animalismo ed ecologismo non sono soltanto salvaguardia degli animali e della natura. Sarà inutile cercare il nostro pensiero in manuali filosofici o in autori considerati teorici di questi due movimenti. Non abbiamo pensatori antispecisti di riferimento, quello che qui esprimiamo è ciò che noi pensiamo e non è da "inscriversi" in pensieri formulati da esponenti di qualsivoglia corrente. Questa non è una affermazione di ignoranza, soltanto non ci interessa precipitare in un dibattito a colpi di citazioni da cui usciremmo sicuramente sconfitti.
Il nostro essere antiautoritari nasce certamente dal rifiuto della gerarchia e del dominio, ma anche dall'intolleranza verso forme di costrizione e prevaricazione. Il che significa provare un irresistibile fastidio per chi vuole controllare, sottomettere, manipolare, sovrastare le nostre vite e quelle dei nostri simili, ma anche per chi permette e tollera che ciò accada a chi non ha sembianze umane.
Una premessa necessaria è che l'antispecismo che portiamo avanti rappresenta una tensione, non una soluzione per ogni evenienza. E' un'urgenza di fare che è nelle nostre possibilità già da ora e che non può attendere. La nostra teoria è ancora bisognosa di arricchirsi di contributi e approfondimenti ma ciò che deve prevalere è la conseguente pratica. Rispondere a tutti i dubbi e osservazioni significherebbe addentrarsi nella giungla dei se e dei ma, tentando di immaginare quali potrebbero essere le obiezioni più comuni. Certamente anche le critiche più scontate sono legittime, che non diventino però una maschera per non capire il discorso essenziale, già espresso nel primo numero della rivista. La coerenza non è mantenere in ogni caso della vita le nostre regole ferree ed essere rigidi con gli altri, è anche qui una tensione, un cercare di…
L'identificazione con individui della nostra specie è responsabile del fatto che generalmente ci impressioniamo di più nel vedere una persona morta in mezzo alla strada rispetto ad un piccione schiacciato dalle macchine. Questo può essere dovuto ad una incapacità di immedesimazione, ma non escludiamo sia in larga parte risultato dell'allontanamento della morte umana dalla nostra vita, tenuta sempre più lontana dalla vista e di cui si evita di parlare. Questa maggiore identificazione con gli umani non toglie che il disagio, il dolore, il benessere o la gioia non sono monopolio di nessuno e che si equivalgono. Sentire e condividere qualcosa con qualcuno in una determinata circostanza è etimologicamente l'empatia ed è quello che ci porta davanti e dentro ai cancelli di un laboratorio di vivisezione e che ci fa solidarizzare con le persone rinchiuse nelle carceri, vittime dello squallore degli eserciti o perseguitate in tutte le tristi occasioni che si presentano agli sfruttatori. Non riusciamo ad essere conformi a degli assiomi che dicono che è più facile per gli umani soffrire insieme a degli umani piuttosto che con altri animali.
Immedesimarsi con il dolore di un essere a noi più simile deriva sicuramente anche dalla nostra capacità di udirne la sofferenza, vederne i segni sul corpo che sappiamo essere tratti distintivi di questa condizione (lacrime, espressioni del viso), mentre altri animali soffrono in silenzio (pensiamo per esempio ai pesci).
Stesso discorso vale per l'accusa di non estendere i diritti alle forme dì vita vegetale. Pur accordando valore alle piante, è innegabile una vicinanza tra le forme di vita animale, compresi gli umani, maggiore di quella che c'è tra animali e vegetali. Ci possiamo dunque identificare nella sofferenza di un animale, sia che lo vediamo angosciarsi e dibattersi o che sappiamo semplicemente avere un sistema nervoso simile al nostro, ma per nostri limiti percettivi non riusciamo a capire se i vegetali comunichino. Ma ascoltare gli animali non esclude che diamo ascolto anche alle piante. Piangiamo comunque di fronte ad un albero soffocato dal cemento, ad una foresta rasa al suolo, vedendo in questa non un bel luogo a nostro uso, ma un brulicare di vita in sé che difendiamo aspramente.
Chi usa la scusante che "anche le piante soffrono" per continuare a perpetuare lo sfruttamento degli animali spesso non fa niente per eliminare la sofferenza vegetale portata come argomentazione, per frenare la pazzia di una società che sta macinando ogni giorno vite e rendendo questo pianeta una landa sterile. Non fare un passo a nostra disposizione perché non è possibile farli tutti è solo un modo per nascondere pigrizia o insensibilità.
Se è vero che soffriamo insieme ad un elefante incarcerato allo zoo, è vero anche che alla vista di un verme agonizzante, invece che tirare dritto magari ci fermiamo e lo raccogliamo. Biologicamente e sentimentalmente siamo più vicini all'uno, ma ciò non implica che abbia più senso di vivere dell'altro. Cercare di salvare anche quel verme è una forma di buonismo e assistenzialismo animalista o semplicemente lo si fa perché è capitato di aver visto la scena e lo si può fare? Non è questione di graduatorie, non attribuiamo più importanza ad alcuni sviluppi della vita rispetto che ad altri. E' semmai più corretto dire che soffriamo con (significato di simpatia) l'uno in modo più coinvolgente che con l'altro. Ma ogni essere vivente pensa che la propria vita sia importante e così quel verme alla cui vista qualcuno rabbrividisce, sta arrancando per il proprio interesse ed è importante per se stesso. Una scala delle importanze è una gerarchia ad uso e consumo di chi la fa.
La Natura non protegge tutti gli individui di tutte le specie, la Natura è distruttiva, opera delle selezioni e lo fa per necessità, perché sa autoregolarsi. La Natura elimina alcuni individui e suonerebbe davvero assurdo applicare delle categorie morali alle azioni degli animali. Lo stesso non si può dire per un macellaio che appende, squarcia e seziona una mucca mentre questa muove ancora gli occhi e muggisce disperata. Questo individuo segue il ciclo della Natura o piuttosto è una aberrazione della specie umana e potrebbe fare a meno di essere un assassino? La necessità è fondamentale nel valutare la naturalezza delle azioni. Non ce la prendiamo con gli indigeni che cacciano gli animali nella foresta, in primo luogo perché non ce la sentiamo di dare delle indicazioni su come sopravvivere in quell'ambiente e poi perché loro vivono immersi nel ciclo naturale di predatori e prede, prendendone tutti i rischi e i vantaggi.
Ai detrattori dell'antispecismo viene facile dire che la specie umana deve fare i propri interessi, come è normale, anche a discapito delle altre. Se si parla di interesse della specie umana allora si deve anche giustificare la mattanza di uccelli (il caso dell'influenza aviaria) perché potenzialmente dannosi per l'uomo senza vedere che forse questo rischio è solo la giusta risposta ad una aberrazione di buona parte del mondo naturale operata dalla specie umana e all'insopportabile pretesa di essere più importanti degli altri. Gli animali tendono sì a fare il proprio interesse ma non stravolgono l'equilibrio delle altre forme di vita e se vivono in libertà non si discostano da quello che è nella loro natura. Le responsabilità dell'umanità sono evidenti, perché deve continuare a fare sempre e comunque i suoi interessi? A questo proposito è doveroso chiedersi quali siano i reali interessi dell'umanità.
Veganesimo
Molti, "praticanti" e non, lo riducono ad una abitudine alimentare, ad un regime dietetico ferreo. A volte aleggiano rimproveri di moralismo verso chi non si lascia "corrompere"dalla piadina con lo strutto o dal cioccolatino al latte e chi "trasgredisce" si sente un coraggioso eretico contro una pletora di dogmatici. Una persona che ne abbia capito il senso, si libera di tutta una serie di cibi che, oltre ad essere prodotti della sofferenza animale, sono a ben vedere superflui e imposti dalle tradizioni culinarie e dalla semplice comodità. Se li butta alle spalle, insieme all'abitudine di non pensare a cosa si mangia e perché. Li abbandona e ne scopre tanti altri. Non parliamo certo di cose come "tonno di tofu" o "pollo di seitan", ma di tutte le possibilità offerte dalla natura. Liberarsi dei prodotti di origine animale può anche essere un'occasione per riscoprire un approccio al selvatico con la conoscenza e la raccolta delle erbe, con la consapevolezza della stagionalità dei frutti della terra. Far da sé conserve e pane, recuperare al mercato frutta e verdura che verrebbero buttati, coltivare un orto, riciclare e dare un nuovo utilizzo ai contenitori degli alimenti, deriva da una attenzione a ciò che si ingurgita e a come è stato prodotto. Inoltre il cibo non è solo qualcosa che riempie la pancia ma energia e terapia per il nostro corpo.
Purtroppo è vero che così come gli altri alimenti, anche quelli "privi di crudeltà" vengono confezionati in fabbriche che occupano terra depredata ai boschi, che queste fabbriche hanno un ciclo industriale inquinante e che non si sottraggono alle logiche di mercato. Tutte queste osservazioni però, non cancellano il fatto che prevalentemente un non-vegano partecipa a questi meccanismi due volte, una come consumatore di prodotti animali e una come fruitore di tutti gli altri prodotti. Molte altre futili argomentazioni cercano di giustificare il consumo di animali, una per esempio è che i cibi vegani sono costosi, riservati ad una élite che se li può permettere. Come se fosse vero che un etto di manzo costa più di uno di seitan, e come se il veganesimo fosse appunto fatto solo di questi prodotti. Sarebbe come dire che una dieta onnivora è carissima perché il caviale e il formaggio francese costano tanto.
Scendere dal carrozzone
Il nostro veganesimo si accompagna indissolubilmente ad un ecologismo radicale e ad abitudini di vita non consumistiche, il più possibile attente agli sprechi e all'inquinamento. Si prova a lasciarsi alle spalle quel mondo di bottiglie di plastica, di involucri che racchiudono altri involucri, di carta macina-alberi, insomma la violenza dell'usa e getta. Si cerca di immaginare qualcosa d'altro al posto dei cartelloni pubblicitari e degli studi televisivi, dei cantieri e dei tralicci. Sono sempre esistiti i poli fieristici, le tangenziali, le zone industriali, i mega-stores? Com'era prima? Nei supermercati, sconfinati e sterili contenitori di merci, si aggirano persone che magari proprio su quel terreno avevano, in tempi passati, il loro orto o il loro campo. Derubati della terra, costretti a comprare ciò che riuscivano a far crescere con le proprie mani, ridotti ad essere dipendenti dai prodotti delle industrie, impoveriti di rapporti umani in un non-luogo dove si è solo consumatori e fruitori di servizi, dove gli scambi fra le persone sono assoggettati ai soldi. Camminano in quei posti e si ricordano dei colori e dei profumi della campagna che giace lì sotto. In posti resi inospitali da colate di cemento, macchine, costruzioni e divieti di accesso, una volta i viandanti potevano riposarsi e sostare tranquillamente all'ombra degli alberi, ad ascoltare il canto di grilli e rane che poi, in un giorno disgraziato, sono stati cacciati all'improvviso senza poter più far ritorno e la desolazione ha preso il sopravvento.
Il degrado ambientale è un fenomeno che non può non crearci disagio e imbarazzo nel momento in cui varchiamo la soglia, ad esempio, di un centro arredi, economico, giovanile e colorato, in cerca di qualche accessorio per la nostra casa pulita ed accogliente. Infatti mentre per noi scegliamo ciò che soddisfa quel bisogno di futilità che si genera nel vedere foto di oggetti su una rivista patinata, condanniamo a morte la vita di piante, animali e comunità umane, cioè di quel mondo che ha subito l'onere dell'avvento di questo "progresso", di questa epoca di agi e sprechi. La maggior parte delle persone va a fare i propri acquisti in modo spensierato perché forse per loro la bruttezza di questi posti non stride con la bellezza di ciò che poteva esserci prima e perché la prepotenza delle ruspe ha fatto tacere le sue vittime.